REGIA:James Cameron
PAESE:USA
TITOLO ORIGINALE:avatar
DURATA:162
ANNO:2009
SCENEGGIATURA:James Cameron
FOTOGRAFIA:Mauro Fiore
VALUTAZIONI:
KRISTIANOPEDIA:3/4
FILMTV:*****
MYMOMETRO:3,90/5
recensione da L'Unità
Pocahontas. Un po' tutti, nell'attesa di Avatar, abbiamo evocato la principessa pellerossa amata da John Smith. Ci siamo cascati anche noi, dopo aver visto i 20 minuti di antipasto presentati dalla Fox qualche settimana fa, e avendo letto la trama che vede un marine yankee, spedito fra i nativi del pianeta Pandora, innamorarsi di una principessa dalla pelle blu e passare dalla parte degli «indiani». Beh, era una sciocchezza. James Cameron ci ha teso una trappola e noi ci siamo cascati. Visto Avatar, dunque, ieri mattina (esce in Italia venerdì prossimo, in ridicolo ritardo sul resto del pianeta). Una sola parola: filmone. Molto, molto più di una rilettura di Pocahontas. Certo, gli indiani d'America c'entrano: i Na'vi, alieni che vivono su Pandora in felice simbiosi con la natura, li ricordano molto – nella filosofia di vita e nelle credenze religiose, più che nei comportamenti. Ma se Pocahontas incarna un'utopia – l'armonia fra nativi e colonizzatori che poteva esserci e non è stata – Avatar è una vendetta. E non solo di Geronimo o di Toro Seduto. Qui c'è un pianeta nella costellazione di Alpha Centauri che i marines stanno colonizzando perché ricco di un preziosissimo minerale multi-energetico. I Na'vi vivono praticamente seduti sull'Unobtainium, il minerale in questione.
IL BRAVO MARINE
Il consorzio che lo estrae incarica l'esercito di sloggiarli, costi quel che costi. A questo scopo viene spedito fra loro, a mo' di spia, l'avatar – il doppio cibernetico – di Jake Sully, marine privo dell'uso delle gambe: un corpo uguale a quello dei Na'vi (3 metri di altezza, pelle bluastra, naso schiacciato, coda e capelli lunghissimi) controllato dalla mente di un uomo. Come da copione, una volta fra i Na'vi Jake sposa la loro causa. Ma i marines vanno avanti, e scatenano l'inferno. «Al terrore risponderemo col terrore», ghigna il generale guerrafondaio: scambiando per «terrore» la pacifica opposizione di un popolo che difende la propria terra e la propria cultura… Sì, leggeteci tutte le allusioni possibili. L'Unobtainium come il petrolio, Pandora come l'America dei nativi ma anche l'Africa del colonialismo o il Medio Oriente, l'esportazione di democrazia con le armi in pugno, l'ansia ecologica per le sorti della Terra (che gli umani, si dice in un dialogo, hanno abbandonato dopo averla distrutta). Il canadese Cameron ha messo nella trama tutte le problematiche di inizio millennio, sintetizzandole in una fiaba «verde» che ha molti livelli di lettura. Fa veramente tenerezza, a film visto, la polemica innescata sulle pagine di Repubblica da Roberto Faenza, secondo il quale «le armate diCameron» (leggi: le 800 copie in uscita venerdì) rischierebbero di uccidere l'umanità del cinema. C'è più umanità in un'inquadratura digitale di Avatar che in molte filmografie del cinema italiano, magari realizzate con i soldi dello Stato… Certo, poi c'è la tecnologia. Ce n'è tanta, al massimo livello: accanto a Cameron c'è la Weta di Peter Jackson, i geni neozelandesi degli effetti speciali che hanno già firmato Il signore degli anelli. E qui il giudizio deve scindersi. Se dal punto di vista narrativo Avatar è una fiaba d'azione di ottimo livello, dal punto di vista tecnico è un film epocale. Un critico avrebbe il dovere di capire quando si trova di fronte a un'opera di svolta: beh, secondo noi Avatar lo è.
COME DANTE ALIGHIERI
Criticarlo perché la trama ricicla temi e snodi narrativi già noti sarebbe come accusare Dante Alighieri di aver scritto l'ennesimo viaggio agli inferi (dopo Omero e Virgilio, un altro!?), per di più ricalcando spudoratamente la cosmogonia di San Tommaso d'Aquino. Avatar incrementa il linguaggio cinematografico non solo per le innovazioni tecniche ma per come le mette al servizio delle emozioni. È un'evoluzione netta della «performance capture», quel sistema che consente di creare personaggi digitali applicando sensori al corpo degli attori: così hanno realizzato Gollum nel Signore degli anelli, così hanno creato i Na'vi di questo film. Ma la cosa più straordinaria è la creazione ex novo, al computer, di un intero ecosistema. I momenti più incredibili del film sono quelli in cui Jake, attraverso il suo avatar, si muove nelle giungle di Pandora e impara a conoscerle. Nulla di ciò che vedrete è vero, eppure ogni singolo filo d'erba (digitale) è vivo, e l'idea che i Na'vi siano «in rete», in connessione con l'ambiente, le piante, gli animali è l'aspetto al tempo stesso più poetico e più tecnicamente strabiliante del film. Un esempio: quando Jake e i Na'vi camminano nella giungla, il terreno morbido sotto i loro piedi riluce ad ogni passo, ed è un effetto luminoso morbido, cangiante, di un realismo che mozza il fiato. Avatar sta sfidando Titanic sul terreno degli incassi in tutto il mondo: Cameron lotta contro se stesso. Ma è probabile che, considerando il merchandising, i videogame e tutta la tecnologia derivata, Titanic verrà abbondantemente superato. James Cameron è un regista recluso e misterioso, senza il gusto per il lavoro di squadra che contraddistingue registi-produttori come Jackson, Lucas o Spielberg; niente di più facile che dopo Avatar parta per esplorare lo spazio, o riprenda il suo hobby per le immersioni, e decida di non fare più film. Ma con un'accoppiata come Avatar e Titanic ha dimostrato di essere veramente «oltre». Andate a vedere il film con gioia e non curatevi di chi lo demonizza o lo snobba: tutta invidia.
Da L'Unità, 10 gennaio 2010 di Alberto Crespi
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